In un torrido luglio è cambiato il metodo di rilevazione della spesa delle famiglie per stimare gli indicatori di povertà. La riduzione dei poveri è solo apparente, mentre il differenziale tra generazioni è preoccupante. Il nord dell’esistenza (l’età anziana) ha sofferto meno la crisi.
Il sud della vita, quella che nasce e cresce, è in sofferenza. Le famiglie con figli piccoli vivono uno sforzo disuguale per reddito insufficiente, pochi servizi, inclusione negata ai più poveri. Nel 2014 un minore su dieci era in povertà assoluta: più del doppio degli anziani. Era “assolutamente povero” quasi un quinto (18,6%) dei nuclei familiari con tre o più figli minori, contro uno su venti (4%) dei nuclei con almeno due anziani. I capifamiglia con meno di 35 anni erano più poveri (8,3%) degli equivalenti ultrasessantacinquenni (4,7%).
Resilienza sociale
Non poteva mancare la rivendicazione “reddito garantito”, nelle due versioni più recenti del reddito di cittadinanza e del Reis. Da fonti governative è affiorato il Ria (Reddito di inclusione attiva). Sarebbe “una misura di carattere universale che condiziona il sostegno economico all’adesione dei beneficiari ad un progetto personalizzato di attivazione”.
La “vecchia” e “nuova” social card vengono archiviate impietosamente per aver fallito proprio su questo. Rimane quindi un comune denominatore: “attivazioni”. Quelle tentate si sono rivelate prestazionismo burocratizzato, mentre si continua a pensare ai poveri come a dei “resilienti”, cioè resistenti alle politiche “attive”, ma solo di nome e “passive” di fatto, perché non valorizzano le capacità. Non credono nelle persone e non ammettono la possibilità di “darsi una mano”, visto che “non posso aiutarti senza di te”. Le attivazioni tradizionali continuano a garantire reddito agli “attivatori” e assistenza agli “assistiti”, finanziando attivazioni senza le persone.
Segnali di generatività
Ma i segnali di generatività si fanno strada, per responsabilizzare, rendere, rigenerare. Si affidano alla fiducia in ogni persona, anche se povera, debole, “apparentemente incapace”. “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. L’art. 118 della Costituzione (comma 4) ci prefigura un futuro dove ogni persona ha il diritto e il dovere di concorrere al bene comune. È Costituzione formale, ancora orfana di pratiche efficaci. È visione “anarchica”, perché vorrebbe un ordine sociale diverso, capace di liberare i territori dagli assistenzialismi, per fare spazio all’incontro tra diritti e doveri.
A Treviso, Cremona, Rovereto, Bassano, Omegna .., c’è ricerca in questa direzione, per promuovere sussidiarietà nativa in ogni persona. È fiducia in una salvezza sociale possibile, con il concorso al risultato di tutti, anche dei “poveri”, con una logistica delle capacità, per mettere a “corrispettivo sociale” il valore generato. Ma senza fiducia nelle persone è missione impossibile.
Fonte: Rubrica Welfarismi di Tiziano Vecchiato, Vita agosto 2015