La povertà è un problema che, soprattutto a seguito della crisi economica, ha assunto un’importanza crescente in termini quantitativi, diventando una vera e propria emergenza sociale. Il fenomeno, che in Italia tocca oltre 8 milioni di persone, è presente anche in Sardegna, dove sono migliaia le famiglie in condizione di bisogno. Per questo Sardegna Solidale ha deciso di avviare uno studio, realizzato dalla Fondazione Zancan (che da 15 anni cura i rapporti su povertà ed esclusione sociale in Italia) con un duplice obiettivo: fare il punto su quanto, come e con quali risorse si lotta contro la povertà in Sardegna e monitorare il fenomeno, le risposte, le condizioni di efficacia, con il coinvolgimento della rete del volontariato sardo.
I primi risultati. La povertà in Sardegna è in forte crescita soprattutto negli ultimi anni: nel 2002 la percentuale di famiglie povere in regione era del 17,1%, valore rimasto sostanzialmente stabile fino al 2007, quando ha subito un’impennata arrivando a quota 22,9%. Nel 2008 è tornano a scendere (19,4%) per fermarsi nel 2009 (ultimo dato disponibile) a 21,4%. Dati, questi, ben al di sopra della media nazionale, che dal 2002 non ha mai superato il 12%, anche se rimangono al di sotto della media del Mezzogiorno (22%). Il fenomeno riguarda 146 mila famiglie. “La rete dei volontari sardi – spiega Giampiero Farru il presidente del Csv Sardegna Solidale – ci dice che nell’ultimo anno la povertà è cresciuta a livelli di emergenza sociale, con caratteristiche multidimensionali: la persona è privata di risorse, mezzi, scelte, sicurezza, possibilità di usufruire di un livello di vita sufficiente, oltre che di poter fruire di diritti civili, culturali, economici, politici e sociali. È una vera e propria esclusione sociale che penalizza soprattutto le famiglie con figli e le nuove generazioni”.
Le azioni istituzionali. La ricerca considera anche le scelte della Regione negli ultimi 6 anni (2005-2011) e la quantità di risorse destinate alla lotta alla povertà e al disagio economico. “Risulta notevole la produzione di norme e atti deliberativi che prevedono sussidi economici – riassume Vecchiato –. Se da una parte questo può sembrare positivo, dall’altra la mancanza di una regia unitaria costringe gli enti locali e i servizi a un notevole lavoro di valutazione delle domande e di impegno amministrativo per erogare i contributi senza che ad essi vengano associati interventi di aiuto e accompagnamento professionale”. Il rischio, insomma, è di erogare risorse a chi non ne ha veramente bisogno, di premiare chi sa fare meglio le domande, di incentivare la passività e la dipendenza assistenziale. Inoltre, l’assenza di valutazione d’impatto degli interventi ostacola la realizzazione di politiche di contrasto adeguate ed efficaci.
Le risorse che i comuni della Sardegna destinano alla povertà sono notevoli: in termini pro capite sono il doppio di quello che mediamente viene erogato (70 euro rispetto a 34 della media italiana). “Questo dato ci descrive il potenziale che il territorio avrebbe per politiche di lotta alla povertà più efficaci, cioè capaci non solo aiutare ma anche far uscire le persone e le famiglie da queste condizioni”. La vera sfida non è quella di aumentare le risorse a disposizione, ma di incrementare il loro rendimento, verificando l’efficacia delle politiche e il loro impatto.
I prossimi report. Nei rapporti che Sardegna Solidale pubblicherà nei prossimi mesi, verranno evidenziate nel dettaglio le dimensioni del problema, i caratteri delle risposte presenti nei diversi territori e i potenziali di miglioramento nell’uso delle risorse. È un contributo di cittadinanza che il volontariato mette a disposizione per facilitare e promuovere nuove forme di valutazione partecipata delle politiche di inclusione sociale.